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Gianni Bertini Opere su carta anni '50-'60
Laboratorio delle Arti - Piacenza

In mostra al Laboratorio delle Arti una quarantina di opere dell’artista, uno dei protagonisti dell'arte italiana ed europea della seconda metà del XX secolo. Composizioni di immagini e parole, fotografie e segno grafico, per uno dei più begli esempi della Poesia Visiva italiana.

Il Laboratorio delle Arti è lieto di presentare sabato 17 maggio 2008 alle ore 18.00 la mostra “Gianni Bertini – Opere su carta Anni ’50-‘60”.
L’esposizione presenta una quarantina di opere dell’artista, composizioni di immagini e parole, fotografie e segno grafico, per uno dei più begli esempi della Poesia Visiva italiana.

Gianni Bertini e' nato a Pisa nel 1922 ed è sin dall'immediato dopoguerra uno dei protagonisti dell'arte italiana ed europea della seconda metà del XX secolo. Nel 1949 tiene la sua prima mostra a Milano, alla Galleria Salto, prima di trasferirsi, nel 1953 a Parigi. Amico di Pierre Restany, è vicino alle poetiche del Nouveau Realisme ma mantiene sempre la propria indipendenza operativa. Nel 1968 ha una sala personale alla Biennale di Venezia e negli anni immediatamente successivi è tra i fondatori di due riviste storiche della poesia visiva italiana come “Mec” e “Lotta poetica”. Nel 1984 tiene a Parigi una grande retrospettiva al Centre National des Arts plastiques, mentre nel 2004 la Fondazione Mudima di Milano gli dedica “La schiuma del tempo”. Innumerevoli le partecipazioni a mostre collettive, tra cui si ricordano “Mythologies quotidiennes” a Parigi nel 1964, “Le monde en question” ancora a Parigi nel 1967, “Metamorphose de l'objet” in varie sedi museali europee nel 1971, “Fotomedia” a Dortmund nel 1974 e le diverse ricognizioni storiche sulla Pop Art italiana svoltesi dagli anni Ottanta ad oggi.

 

spazio_colore_immagine_-_palazzoloSpazio, colore, immagine. Emblemi d’arte contemporanea: from Hartung to Fontana, from Tàpies to Warhol.

8 June 2009 – 30 July 2009
Fondazione Ambrosetti Arte Contemporanea, Palazzolo sull’Oglio (Brescia)

Negli spazi della Fondazione si inaugura una nuova iniziativa che riguarda alcuni maestri storici del Novecento: nelle tre sezioni della mostra, Spazio, colore, immagine, il curatore Paolo Campiglio, attraverso emblemi d’arte contemporanea provenienti da collezioni private, intende illustrare alcuni percorsi che hanno segnato il Novecento.

Al concetto di spazio come allusivo a inedite dimensioni o allo “spazio virtuale” rappresentato dal colore, appartengono alcune ricerche derivanti dall’informale, come quella di Hans Hartung degli anni sessanta, precedentemente associata al segno: una visione lirica che trova un’eco anche nelle opere dell’americano Sam Francis. Nel percorso espositivo è presente Lucio Fontana, con alcune Attese, veri e propri capolavori del maestro internazionale; all’artista milanese si avvicina la ricerca di Emilio Scanavino, con opere di fine anni sessanta e settanta che rivelano come la suggestione del colore agisca in una prospettiva inedita, allusiva a una spazialità dal carattere psicologico.
Una dimensione più razionale dello spazio è rappresentata dalle ricerche strutturali o percettive, tra cui quella di Bruno Munari  con i noti  Negativi Positivi e di Luigi Veronesi, autori che hanno anticipato il razionalismo visuale delle ricerche contemporanee senza venir meno a una  radice astratta.
Ben rappresentata in mostra è la corrente delle shaped canvas, le cosiddette superfici estroflesse, con le tele monocrome di Enrico Castellani e di Agostino Bonalumi, alle quali si avvicinano alcune opere di Jorrit Tornquist, in grado di coniugare armonicamente la ricerca dello spazio con quella del colore.
Il percorso relativo al colore è parallelo e interagente con quello dello spazio, spesso indissociabile. In questa occasione la sezione contempla note testimonianze di espressionismo informale connesse al Gruppo Cobra, con alcuni esempi di Karel Appel. La dimensione materica, sempre legata all’esperienza informale, è rappresentata da rare testimonianze di Antoni Tàpies, opere che mettono in evidenza la sapiente costruzione di dispositivi sensoriali legati alle superfici e alle textures.

A partire dagli anni sessanta e per tutti gli anni settanta, il confronto con l’immagine è affrontato da  artisti le cui opere riflettono un’attenzione ai media, dalla televisione alle pubblicità, senza escludere contaminazioni con la Pop Art: lo attestano in mostra le opere di quel decennio di Gianni Bertini e di Valerio Adami.
Il tema dell’immagine, associato all’oggetto d’uso, è comune anche ai protagonisti del Nouveau Realisme fra i quali Arman e Christo, presenti con una selezione di opere emblematiche; la problematica del confronto con l’immagine, e in particolare con un’immagine apparentemente gaia ma che nasconde uno spirito disincantato, giunge in realtà fino ai nostri giorni e trova un interprete, tra gli altri, in Aldo Spoldi con lavori raramente esposti. Le opere  degli anni ottanta  di Salvo e Keizo Morishita, che chiudono idealmente il percorso espositivo, testimoniano invece una propensione verso una dimensione più lirica dell’immagine.