Il giovane Bertini si muove con impeto ed energia sulla scena artistica italiana all'indomani della seconda guerra mondiale, una scena ricca di fermenti, dibattiti, sperimentazioni e soprattutto della voglia di uscire dalla cultura autarchica del ventennio e di imboccare nuove strade. La frase con la quale Guido Ballo avrebbe voluto aprire e chiudere la monografia del 1971, lasciando alle immagini il compito di guidare il lettore allo studio e alla comprensione del fermento creativo di Bertini, la dice tutta sulla dirompenza, e anche sicurezza, del suo essere giovane artista all'indomani del conflitto: «[...] Bertini o della coscienza informativa che lo spinge sempre in prima linea, dando sicurezza mentale alla sua energia attivista, tanto da fargli continuamente rimettere tutto in discussione e riprendere il gioco di contropiede [...]».
A Pisa, uscito da un'infanzia e da un'adolescenza ovattate che l'artista ricorda con compiacimento e spregiudicatezza osservandosi quasi come personaggio scenico, Bertini muove i suoi primi passi d'artista in una direzione ben delineata, ricorrendo a un linguaggio dichiaratamente post-cubista sostanziato tuttavia da una particolare ed energica scansione delle forme e da una evidente marcatura del colore, come in Natura con cocomero del 1947. Se il postcubismo tuttavia è il trampolino di lancio di Bertini, come di numerosi altri artisti in questi anni, non è certo la sua scuola di appartenenza. Con lucidità e determinazione gli schematismi post-cubisti vengono subito bruciati e superati dall'ansia di entrare in un linguaggio nuovo, capace di avere una presa reale sul proprio tempo.
Dopo aver ricevuto il terzo premio per l'opera ancora tardo espressionista Macinino da caffè al Premio Pisa nel giugno del 19471, Bertini si misura subito con l'altra corrente dominante alla fine degli anni quaranta, quella astratto-geometrica, cercando di aprire contatti con Roma e con Milano e di farsi promotore in prima persona di una mostra sull'avanguardia toscana, inaugurata il 4 dicembre 1947 al Palazzo alla Giornata di Pisa2. Bertini vi espone opere ancora in bilico tra post-cubismo e astrazione nelle quali, come ben evidenzia Russoli «[...] cerca di frenare la sua felice foga, il calore della accesa sensibilità cromatica in una ordinata fantasia formale. Le superfici si spianano in colori dominanti, la furia della pennellata si placa, l'intarsio delle zone di colore e la costruzione si fanno più razionali, meno affidati alla luce di un ancora persistente naturalismo [...]».
Nel passaggio dal post-cubismo all'astrazione Bertini, per pochissimi mesi, sperimenta composizioni astratte per il momento piuttosto generiche, semplici, in cui le forme geometriche si muovono secondo direttrici non rigide bensì curvilinee, sinuose, e in cui l'aspetto cromatico è ancora tonale, non contrastante, ben lontano dalle assolutezze delle opere MAC.
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