La Mec-Art |
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2° MANIFESTO DELLA MEC-ART Pierre Restany, ottobre 1965 La vita artistica contemporanea è dominata da un fatto capitale: ormai tutti, ad un livello o l'altro, prendiamo coscienza della natura moderna industriale ed urbana. Questo orientamento domina l'evoluzione attuale. Le ricerche si sviluppano su due vie parallele, secondo che il tentativo di sintesi è situato al livello dell'oggetto in sé stesso o della constatazione di questo oggetto sul piano della bidimensionalità classica.
Se l'arte de “l'assemblage” corrisponde ad una messa in scena della natura moderna, l'arte del “constato” propone una impaginazione della stessa realtà oggettiva. A dire il vero non c'è una differenza morale o filosofica tra queste due proposizioni che traducono lo stesso “constato” realistico. Per contro, questi riporti fotografici, questi ingrandimenti di belinogrammi, queste tirature dirette o decalcomanie di clichés, queste inquadrature tipografiche, queste impressioni a grande tiratura su tela sono molto lontane dalla vecchia pittura figurativa che tenta oggi di nascondere la sua mediocrità con un modernismo del soggetto. La crisi attuale della pittura da cavalletto è legata a quella dell'immagine “dipinta”: ma l'immagine dipinta, non ha niente a che vedere con l'immagine oggettiva ottenuta sulla tela attraverso un cliché, un'impronta, un riporto fotografico, val a dire un processo di impressione meccanica. Questa differenza capitale, che può sembrare una sottigliezza a prima vista, si è manifestata di più nel corso della stagione 1965. Nella storia dell'iconografia contemporanea, questo marca la frontiera esatta tra l'esperimento autentico ed i tentativi di un camuffaggio opportunistico. Ciò che è in gioco è importante. Di fronte a questo problema, l'ultimo tanfo della disputa astrazione-figurazione è destinato ad un comprensibile oblio.
LA MEC-ART: UNA PITTURA MECCANICA ALLA RICERCA D'UNA ICONOGRAFIA MODERNA Pierre Restany, novembre 1967
in “Essere” n.4 quaderno di studi e documenti d'arte contemporanea Dopo la sua invenzione per opera di Nicéphore Niepce, la fotografia ha allacciato dei rapporti sempre più pregnanti con la pittura. In un primo “tempo figurativo”, l'istantanea fotografica ha annullato tutta una certa arte di genere aneddotico e di ritratto. In seguito le immagini si sono fuse e si sono avute numerose interpolazioni, tanto che, si è potuto parlare di realismo fotografico per indicare una certa esattezza di immagine: la precisione minuziosa del dettaglio nella pittura di cavalletto. In un secondo tempo poi pià recente, ci si è accorti che la fotografia scientifica permetteva di isolare dalla realtà le immagini “non figurative” inventate dai pittori astratti. Una rivista tedesca “Das Kunstwerk” ha dedicato un numero speciale a questo incontro fra dati oggettivi dell'osservazione fotografica e la visione “astratta” del pittore.
Questo incontro, d'altronde, si è posto ben oltre i fenomeni superficiali della visione ad occhio nudo: vecchi muri, campi visti dall'aeroplano, effetti di materia e di luce. Le negative dovute al microscopio elettronico ci hanno rivelato una struttura segreta della materia che contiene l'insieme dei principi informali e tachisti: un frammento di roccia vulcanica attraversata dalla luce polarizzata diventa così un Sam Francis, un pezzo di corteccia cerebrale ingrandita 30.000 volte ricorda il dripping di Pollock, i gangli nervosi esprimono pienamente la calligrafia di Mathieu. I nudi di Fautrier rappresentano la struttura fibrosa di un interno uterino. La scoperta di questa super realtà ha reso vane tutte le speculazioni e tutte le polemiche astratto-figurative, e ha contribuito potentemente alla rimessa in questione dei valori astratti. Ma il problema delle influenze reciproche nella fotografia e nella pittura si situava sempre a livello dell'immagine tecnica o del repertorio visivo. Soltanto nella scoperta quotidiana di “altre visioni” il fotografo assume la funzione di leader. New York: la rivincita della pittura sulla fotografia Questa supremazia del fotografo non avviene che a partire dal 1961 quando il rapporto fotografia-pittura sta per essere invertito con l'introduzione nell'ambito della pittura di procedimenti di stampa industriale e di riproduzione meccanica a fini direttamente creativi. Il procedimento del riporto fotografico in serigrafia era del resto già utilizzato dai disegnatori industriali e dai grafici. Esso consiste nel riportare l'immagine fotografica (non importa quale immagine) su un telaio di seta e nell'imprimere questo cliché, dopo averlo inchiostrato, su un foglio di carta o di tela. Un ex disegnatore pubblicitario newyorkese Andy Warhol decise di utilizzare il sistema del riporto serigrafico nella sua pittura ai fini di ottenere, con l'esclusione di tutte le interpolazioni soggettive e manuali, una immagine-oggetto che fosse suscettibile di differenti combinazioni: ingrandimento, ripetizione, moltiplicazione, serialità, ecc. Le scatole di Campell soup di Andy Warhol esposte nel 1962 a Los Angeles (Ferus Gallery) e in seguito a New York (Stable) lo resero celebre da un giorno all'altro. A ciò fece seguito la famosa serie di Marilyn Monroe e poi quella sul tema sociologico della morte, i reportages d'incidenti, le sommosse, la sedia elettrica. Contemporaneamente nel 1962, Rauschenberg che, dieci anni prima nei suoi disegni aveva adottato la tecnica ernestiana del frottage fotografico, riprese il procedimento del riporto a suo vantaggio e lo utilizzò in una serie di tele che si iscrissero nella logica conseguenza del combine-painting. I riporti fotografici permisero a Rauschenberg di rimpiazzare il collage del ready-made con l'immagine-oggetto tutto incorporato nello stesso contesto pittorico espressionista: in breve, di passare dall'assemblage ad una superficie mantenendo la molteplicità dell'immagine. Il riporto fotografico corrisponde alla trasposizione su un piano bidimensionale del concetto di ready-made. Non c'è differenza filosofica tra una accumulazione di Arman e un riporto fotografico di Andy Warhol: nel primo caso abbiamo a che fare con oggetti trovati, nel secondo con immagini-oggetto trovate. Né Warhol né Rauschenberg si sono preoccupati di operare sulla struttura organica dell'immagine-oggetto. Essi considerarono il riporto come un tutto omogeneo, una quantità grezza di informazione oggettiva, un elemento di un collage integrato al piano. La Mec-Art in Europa Al contrario, le ricerche che si sono sviluppate tre o quattro anni più tardi in Europa tendono tutte alla ristrutturazione dell'immagine bidimensionale classica per mezzo di diversi procedimenti meccanici: (stereotipia) riporto diretto su tela emulsionata, analisi o riporti di retino, stampa a grande tiratura su tessuto o materia plastica. La fotografia è utilizzata come un procedimento meccanico che permette di condizionare le strutture dell'immagine-oggetto: l'artista controlla ciascuna fase dell'elaborazione meccanica dell'immagine, egli si è appropriato della fotografia e l'ha puramente e semplicemente sostituita ai suoi pennelli e alla sua tavolozza. Dal 1947 Raymond Hains aveva perfettamente compreso questo problema particolare della strutturazione oggettiva dell'immagine, restando tuttavia sul piano della fotografia pura. Meritatamente si deve parlare di pittura meccanica o di mec-art a proposito di un gruppo di opere di Béguier, Bertini, Pol Bury, Jacquet, Nikos e Rotella che avevo riunito nell'ottobre 1965 a Parigi sotto il titolo significativo di “omaggio a Nicéphore Niepce”. Tutte queste opere in effetti utilizzavano i procedimenti fotografici con lo stesso intento: l'elaborazione meccanica di una nuova immagine di sintesi. I loro autori avevano per la maggior parte dietro di loro una lunga carriera artistica e si erano fatti conoscere per altre posizioni di avanguardia. Essi erano arrivati là al termine di indirizzi molto diversi. Nel settembre 1963 a Roma Mimmo Rotella mi mostrò i suoi primi “riporti”; essi si inserivano nella logica prospettiva dei suoi manifesti lacerati. In seno al Nuovo Realismo, Rotella aveva spinto fortemente in avanti la ricerca di una super immagine ready-made selezionando i manifesti dai quali gli strappi mettevano in risalto gli elementi formali precisi: stelle del cinema, oggetti o slogan pubblicitari. L'inseguimento di questa sottolineante espressività dell'immagine-oggetto lo condusse a porsi il problema dell'utilità del decollage oggettivo: perché lacerare il manifesto scelto e staccarlo dal muro? Il concetto di scelta è autosufficiente, una fotografia del manifesto gioca lo stesso ruolo oggettivo dello stesso manifesto. Nello scegliere i clichés dei suoi décollages Rotella opera una profonda indagine realistica. La constatazione della sua visione e se si vuole l'accostamento dell'accertamento dell'immagine-oggetto. Questa fu la partenza della seconda fase della sua carriera, suddivisa in diverse serie di operazioni dirette di negativi su tela emulsionata (fotografie di giornali, serie Vaticano II) che l'hanno condotto ai “macules” attuali. Bertini che dal 1960 aveva integrato degli elementi tipografici e dei collages di giornali nelle sue pitture “machiniste” inaugura nel 1961 le “bertinisations” di bandiere e di documenti ufficiali. A partire dal 1963 realizzò dei collages-peintures complessi, pitture gestuali nel contesto delle quali il collage fotografico assumeva un ruolo sempre più importante. Nel 1964 decise di dare una nuova unità a questi montaggi composti, fotografandoli e riportando il cliché su tela. In questo caso la fotografia diventa un modo di condensazione e di unificazione dell'immagine: il cliché abolisce tutti gli effetti di contrasto, tutte le differenze di materia tra il collage e le parti dipinte. Le ricerche di una nuova immagine Questa enumerazione che non ha niente di definitivo sottolinea lo sviluppo durante questi ultimi anni di una corrente di ricerche omogenee tendenti ad una ristrutturazione dell'immagine piana: se si vuole parlare di “Nuova figurazione” oggi, è appunto a questo livello che bisogna collocarla. Poiché a differenza dei loro colleghi americani i mec-artisti non cercano di ottenere un ready-made piano, ma proprio di agire sulla struttura organica dell'immaginazione e sui dati fondamentali della visione. Nel devolversi del processo meccanico, queste ricerche sulla nuova immagine ci pongono un certo numero di problemi ancora mal risolti, ma che non possiamo eludere più a lungo: l'impiego di un procedimento di riproduzione a fini creativi, l'eliminazione di tutti gli elementi propriamente pittorici, infine e soprattutto la questione della produzione quantitativa. Queste opere possono essere facilmente ottenute in grande quantità, sia per la riproduzione dei clichés originali, sia per la stampa a grandi tirature di un negativo. I mec-artisti vogliono rispettare la finzione arbitraria dell'opera unica o orientarsi risolutamente verso la produzione in serie? La logica vorrebbe che la pittura meccanica, che impronta il suo linguaggio alle tecniche della comunicazione di massa si evolva naturalmente in questo senso. Questa evoluzione si inserisce in un fenomeno d'insieme, un'estetica collettiva che non fa che tradurre il crescente inserimento dell'arte nella realtà sociale. Sfortunatamente gli stessi artisti urtano non soltanto contro la reticenza del pubblico, ma anche contro i loro scrupoli psicologici, contro i loro vecchi pregiudizi. Al momento soltanto Alain Jacquet ha affrontato francamente la questione. Bury, Rotella e Neiman hanno continuato occasionalmente a fare tirature multiple. Bertini che ha messo a punto un procedimento di impressione su materia plastica è deciso a portare la sua produzione a livello veramente industriale. La questione resta dunque aperta. Essa interessa uno dei settori più vivi dell'arte attuale. Dal successo di questa esperienza, dalla soluzione di questi problemi dipende il radicamento della coscienza realista moderna di una iconografia originale capace di allacciarsi alla tradizione senza rinunciare alla rivoluzione della visione che essa rappresenta. La posta è di tale tenore che merita di essere presa in considerazione.
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